Informazione, proprietà, bene comune, lavoro, solidarietà. Sono le parole chiave che hanno risuonato nell’Aula Magna del Bo, per l’inaugurazione della seconda edizione del corso di Alta formazione per operatori dell’informazione alla quale hanno partecipato oltre 350 persone, metà delle quali da remoto.
Una lezione inaugurale dal respiro internazionale quella che si è respirata a Padova lo scorso 5 maggio e dallo schema del tutto inusuale grazie agli interventi dell’economista Julia Cagé e dell’attore regista Marco Paolini.
In collegamento da Parigi, Cagé, docente all’università Sciences Po, ha spiegato come non ci possa essere informazione libera e indipendente se non c’è trasparenza sulla proprietà dei media. E se l’informazione non è libera e indipendente sono a rischio le basi democratiche della società. Si può fare qualcosa? E se sì, cosa? Cagè formula delle proposte concrete che hanno quale condizione basilare la partecipazione attiva nella gestione dei media della comunità giornalistica e della cittadinanza. E formula un concetto innovativo di “finanziamento pubblico” del tutto diverso da quello cui siamo abituati, per esempio, in Italia. Paese, il nostro, in cui tra l’altro il dibattito su proprietà dei media e conflitto di interessi è assente.
Paolini, in presenza, ha rivoluzionato il cerimoniale invitando a sedere sul pavimento in semicerchio il pubblico. A sottolineare che la formazione deve coinvolgere, avvicinare, toccare. Lo stesso per l’informazione? Ci vogliono dei paletti: l’informazione non è comunicazione, se si intende quest’ultimo termine come veicolo promozionale di una “merce” o di una “ideologia”. Ecco saltar fuori il concetto di “greenwashing”, ovvero la comunicazione spesso e volentieri utilizzata dalle multinazionali, proprietarie dirette e indirette (tramite pesanti sponsorizzazioni) di interi settori economici, culturali, sportivi della società. La sua riflessione civile si è concentrata sul concetto di “bene comune”, ad esempio l’acqua, che si sottrae alla logica del mero profitto.
Una scommessa? Una sfida? Meglio un impegno. Già perché il corso di Alta formazione nato dal protocollo siglato da Fnsi e Università di Padova, su spinta propulsiva del Sindacato giornalisti Veneto al quale si è affiancato il Sindacato giornalisti del Trentino Alto Adige, in collaborazione con l’Ordine nazionale e veneto dei giornalisti è un impegno a proseguire, nonostante la difficoltà e la complessità del momento, sulla strada del confronto interdisciplinare, dello studio, della formazione continua e verificata, dell’accuratezza nell’individuare e nel dichiarare le fonti.
Da “Raccontare la verità” ad “Aver cura del vero” dal titolo del volume, di recente in libreria, che condensa, anche con un’analisi scientifica, l’esperienza pionieristica della prima edizione del corso, partita e realizzata in piena pandemia.
A coordinare i lavori, in un pomeriggio denso e coinvolgente, è stata la professoressa Laura Nota, direttrice del corso che ha introdotto i saluti fra gli altri di Egidio Robusto, direttore del dipartimento di Filosofia, sociologia, pedagogia e psicologia applicata (Fisspa) di Unipd, di Raffaele Lorusso e di Giuseppe Giulietti, segretario generale e presidente della Fnsi, e del presidente dell’Ordine nazionale dei giornalisti, Carlo Bartoli. Le conclusioni sono state affidate a Monica Andolfatto e Rocco Cerone, segretari Sgv e Sgtta e al docente del corso Roberto Reale.
Lorusso ha detto che «riflettere, come si propone di fare l’Università di Padova, sui legami fra informazione, educazione e ricerca, su come creare nuove reti di solidarietà e nuovo senso di comunità, su come anche grazie all’informazione si possa ricostruire un tessuto sociale lacerato, credo sia un percorso da portare avanti, insieme, anche per riportare al centro temi e diritti che abbiamo drammaticamente espulso dal dibattito politico. Primo fra tutti il tema della centralità del lavoro e dei diritti sociali come motore per la crescita individuale e collettiva e per ridurre le disuguaglianze».
«Aver cura del vero è aver cura della memoria – ha esordito Giulietti – e questo corso è una scelta di grande civiltà che lega le discipline, i diritti umani, l’università, l’inclusione: il contrario di quello che succede oggi, con il capo che non vuole mediatori nel suo rapporto con la folla. “Aver cura del vero”, titolo del corso e del libro che lo racconta, è un titolo bello perché “aver cura” collega tradizioni lontanissime, religiose, filosofiche, culturali. Aver cura investe passione e compassione, aver cura del vero riguarda i giornalisti: il testo senza contesto non è comprensibile, la velocità senza profondità è pericolosa e mette a rischio la democrazia». Sulla stessa lunghezza d’onda anche Bartoli che ha ribadito: «Si tratta di una esperienza da replicare, esportare e diffondere».
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